Quello presente, per i credenti di ogni fede e soprattutto per le chiese europee e del mediterraneo, nonché del medio oriente, ormai è tempo di profezia; per realtà come il MEIC e PAX ROMANA: la dimensione del servizio per le istituzioni (ecclesiali e civili) resta importante e non va abbandonata, ma va qualificata ancora di più:
non solo i governi locali e centrali, ma soprattutto vescovi e pastori devono disporre di un’analisi lucida ed accurata delle realtà presenti e delle tendenze in atto, per meglio scegliere dove e come essere presenti e a cosa non si può e non si vuole rinunciare rispetto agli scenari prossimi;
e, per questo, la cosa migliore è certamente l’affermazione dello stile d’un esame di coscienza personale e collettivo dell’intera comunità cristiana, che s’interroga e si propone per prima come testimone responsabile del futuro (si tratta, dunque, di orientare la discussione anche sulla necessità della pratica diffusa del “metodo sinodale”) e vuole una migliore società in cui vivere;
tuttavia, effettivamente questo non sembra poter più essere sufficiente:
v’è uno spazio, sempre attenzionato ma troppo trascurato (nella vita quotidiana) e come quasi dimenticato, in cui occorre “spendersi” oggi in particolare sulla scena dell’attuale Europa, e cioè:
la dimensione dei rapporti vicendevoli tra le chiese cristiane europee – quelle cattoliche “insieme” sia con quelle riformate sia con quelle ortodosse – e di esse, come macro-comunità che si riunisce, discute e progetta sui bisogni primari comuni, con quelle in cui più imminente o presente è la crisi della pace mondiale; e cioè (credo, per almeno i prossimi dieci anni):
le chiese di Russia (silenziose, come altre chiese ortodosse dell’est Europa, sulle vicende dei Balcani negli anni ’90 e poi da ultimo nella crisi in Ucraina);
le chiese di Turchia e del medio oriente “esteso” (Libano ed Iraq inclusi), quale vero baricentro delle disarmonie e degli squilibri attuali non solo per la crescita del terrorismo di matrice islamica e dell’ISIS, ma anche per i conflitti di leadership regionale di queste aree e per la mai risolta questione palestinese;
rapporti che occorrerebbe incoraggiare, costruire e sostenere per:
– avere una visione condivisa delle dinamiche in atto;
noi “occidentali tutti insieme” – soprattutto nella componente ortodossa (l’est Europa perché vive un nazionalismo esagerato ed antistorico?), ma anche nelle chiese riformate (che nel Nord Europa da decenni vivono di più l’accoglienza dei migranti e rifugiati e sembrano ancora considerarli troppo un corpo separato dal nucleo delle loro comunità …) – dobbiamo capire meglio e bene, imparando anche con gli occhi il cuore e la mente dei nostri fratelli orientali, dove e come testimoniare l’amore sociale e sentirci davvero prossimi, anzi, un tutt’uno con gli uomini e le donne di questa ormai unica “regione culturale” del pianeta e, nello stesso momento, permettere ai nostri fratelli orientali di comprendere le loro responsabilità passate e presenti e le cause della situazione grave attuale (ad es.: dove e come operavano i cristiani in Iraq ed in Siria al tempo di Saddam o di Assad senior?);
– decidere azioni comuni e risoluzioni, sia “pastorali” sia “civili”, sui temi più urgenti;
pensiamo a: la tutela ed il sostegno delle comunità minacciate e la costruzione di percorsi di dialogo tra i governi e le fazioni ribelli negli stati in crisi; l’accoglienza e l’integrazione dei migranti e dei rifugiati; l’aiuto nelle relazioni internazionali ai governi più coinvolti nelle crisi regionali e nella lotta al terrorismo;
ed a proposito, mi sembra che la tua intuizione sulla necessità di una nuova stagione di riflessione e di proposta fondata sulla vicenda di Gesù Cristo nella sua prima venuta vada pienamente accolta!
Si tratta di avere la convinzione ed il coraggio di:
– discutere e valutare il possibile (ed auspicabile) nuovo rilevo della nonviolenza attiva, per i singoli, per le comunità, per i governi;
nonviolenza attiva, in fondo, è proprio ciò che ha fatto Gesù Cristo:
incontrare uomini e donne, conoscerne l’anima, la condizione, i bisogni, paure ed entusiasmi;
cercare e praticare la verità, sempre e ad ogni costo, sulle loro relazioni imparando ed insegnando alla scuola della vita;
esercitare la virtù della responsabilità;
pregare il Padre (per ricevere la forza necessaria al vivere e per dare guarigione, cioè il senso che il bene – e non il male – ha l’ultima parola), invocare la luce dello Spirito Santo (per capire), come il Figlio amare incondizionatamente, non temendo il proprio personale sacrificio (“.. la carità tutto crede, tutto spera, tutto sopporta …”);
credere nella bellezza del mondo come segno della presenza di Dio e dell’esistenza di un suo progetto di bene per esso;
credere nella giustizia, cioè in una umanità come l’ha voluta Dio, secondo un progetto che si può attuare;
praticare la giustizia (anche “riparando” ciò che è guasto, rendendo cioè perfetto ciò che non lo è, contrastando ciò che lo danneggia, etc. …);
– “scegliere” la nonviolenza attiva, cioè capire come e dove praticarla, non solo teologicamente e pastoralmente (ossia, nei luoghi e nei rapporti intra- ed inter- ecclesiali), ma anche come metodo di nuova partecipazione civile alla vita democratica per la rifondazione dell’Europa dei prossimi decenni;
non è un sogno, ma l’unica possibilità che abbiamo, quella:
di rapporti tra individui e gruppi in cui la non conoscenza o la differenza non determinano paura e/o rifiuto, la diversità delle posizioni non degenera in competizione, la superiorità degli uni non provoca l’inferiorità (in dignità) degli altri, il conflitto si media e si risolve senza la sopraffazione ma con un accordo che soddisfi entrambi, il potere di chi governa è dato dai governati e questi sono attivi perché i loro rappresentanti operino per il bene comune e non di pochi o di alcuni;
e di rapporti tra gli stati in cui ognuno possa fidarsi dell’altro perché l’uno, unilateralmente (senza nulla in cambio) dà in credito fiducia all’altro e, pur tutelando i propri cittadini, non chiede in garanzia altro se non la reciprocità e, se non la ottiene o vede i patti non rispettati, non si fa giustizia da sé ma con altri stati esercita ogni pressione sull’altro finché il popolo di questo decida per il bene proprio e di tutti;
– spiegare perché la nonviolenza attiva è l’unica strada seriamente percorribile oggi, per seminare la speranza nel futuro;
– coinvolgere altre realtà associative sensibili in un utile e condiviso impiego dei media per la semina di questa nuova stagione;
– testimoniare da ora e subito azioni nonviolente di fronte alle criticità delle nostre realtà locali (per farne capire il valore irrinunciabile e per alimentare al sacrificio generoso le coscienze individuali).
E chi, se non dei cristiani veri, potrebbe provarci?
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